70 anni di Rai, Antonio Talamo, la “Giostra dell’Informazione” in Calabria

70 anni meravigliosamente ben portati. Per “mamma Rai” è il momento dei bilanci, e per la Tv di Stato i bilanci sono assolutamente positivi ed esaltanti. Ma lo sono ancora di più per la storia della Rai in Calabria, e a cui Antonio Talamo, pioniere della nascita della Rai in Calabria, dedica il suo ultimo saggio: “Al volo sulla giostra dell’informazione, Quando la Rai aprì una sede in Calabria”, edito da Rubbettino Editore.

di Pino Nano
Giovedì 04 Gennaio 2024
Roma - 04 gen 2024 (Prima Notizia 24)

70 anni meravigliosamente ben portati. Per “mamma Rai” è il momento dei bilanci, e per la Tv di Stato i bilanci sono assolutamente positivi ed esaltanti. Ma lo sono ancora di più per la storia della Rai in Calabria, e a cui Antonio Talamo, pioniere della nascita della Rai in Calabria, dedica il suo ultimo saggio: “Al volo sulla giostra dell’informazione, Quando la Rai aprì una sede in Calabria”, edito da Rubbettino Editore.

Un libro in cui il grande giornalista Rai napoletano racconta il suo primo arrivo in Calabria, e quando in macchina per raggiungere da Cosenza Reggio Calabria servivano almeno sei sette ore di viaggio, se tutto andava bene. Molte di più per arrivare in Aspromonte o nella Locride. Altri tempi, una stagione pionieristica che oggi sembra quasi una favola ma che è stata invece la storia della Calabria della fine degli anni ’50 e gli inizi degli anni ‘60.

 

Gli inizi di ogni cronista non sono mai facili, ma in quegli anni in Calabria un cronista era ancora guardato molto in cagnesco e con immensa diffidenza. Inizi difficili, dunque, anche per Antonio Talamo (al centro nella foto in alto insieme a Pino Nano e Emanuele Giacoia) e che lui ricostruisce e racconta con la stessa avvolgente dolcezza con cui faceva la radio.

 

“Dietro ogni fatto c’era sempre una storia di persone che però quasi mai trovavo disposte alla confidenza. Alle domande rispondevano come fosse un interrogatorio con un sì o un no. Era una situazione di incomunicabilità che disorientava. Mi chiesi quale potesse essere la ragione, subito scacciando la prima che mi era venuta alla mente, (me ne vergogno ancora adesso), che fosse una sorta di afasia da incultura. Era un pregiudizio che, peraltro, non mi apparteneva. Il dialetto calabrese mi era familiare e dunque non poteva sfuggirmi che c’era tanta cultura quando alla gente di remote contrade si scioglieva la lingua nei canti. Magari avessi potuto volgere in domande e risposte la profondità delle cose dette su una melodia a voce spiegata o solo sussurrate come confessioni dell’anima”.

Giornalista e scrittore, Antonio Talamo ha vissuto tutta la sua esperienza professionale quasi tutta in Rai, dove ha concluso la sua carriera brillantissima come Vice Direttore dei Servizi Giornalistici. Per venticinque anni ha curato la rubrica della prima rete radiofonica “Qui parla il Sud”. Dalla redazione di Cosenza prima, e poi da quella di Napoli, è stato per lunghi anni testimone del grande dibattito meridionalistico in corso nel Paese.

Ma Antonio Talamo è stato anche un importante autore televisivo e radiofonico italiano. Sono suoi i documentari radiofonici più belli realizzati per la radio sulle aree più depresse del Sud dell’Italia.

“Era quello che suggeriva Corrado Alvaro in un messaggio in voce registrato in occasione del lancio del «Corriere della Calabria». E dunque, per cominciare, niente di meglio del documentario che andava guadagnando ascolti e spazio nel palinsesto radiofonico. Era il genere di trasmissione con cui, avevo preso confidenza negli studi romani del Giornale Radio. Inoltre, si accordava bene con l’insieme del lavoro redazionale. Lo completava con quegli spezzoni di conoscenza dell’universo calabrese da rintracciare nelle pieghe della cronaca e ricomporre nella forma di quel Viaggio in Italia di Guido Piovene, che aveva dedicato alla Calabria una delle puntate più interessanti”.

Nella sua veste di autore radiofonico, e poi ancora di giornalista televisivo, Antonio Talamo ha rappresentato più volte la Rai al Prix Italia nella sezione documentari, dossier e speciali per i quali ha ricevuto negli anni il Premio Napoli, il Premio Calabria, il Rhegium Iulii, il Premio Chianciano, insieme a centinaia di altri riconoscimenti minori. Tanta radio, ma anche tanti saggi e tanti libri dedicati alla “nuova questione meridionale”.

“Fu specialmente Sergio Zavoli che mi fece prediligere la forma variamente declinata del documentario. Potei assistere alle ultime fasi di lavorazione di “Clausura” e rimasi conquistato dal modo con cui organizzava le parole e perfino i sospiri in un flusso di coscienza. Quei momenti li ho come il vero punto di inizio della mia avventura professionale. Che sarebbe cominciata da uno spazio, anche fisico, in cui c’era tutto da costruire nella dimensione di uno strumento del tutto nuovo. Fin dai primi giorni, quando a Cosenza con l’indimenticabile Alfredo Caputo nella funzione di caposervizio (la redazione eravamo noi due e qualche collaboratore esterno), dopo aver sistemato le scrivanie e i telefoni, dovemmo inventarci un modello di tutto, dall’organizzazione del lavoro a una forma espressiva più vicina alla realtà, che saremmo stati chiamati a testimoniare anche ad una platea più estesa di quella regionale”.

Nella realtà di tutti i giorni, Antonio Talamo è stato una leggenda. Lo è stato per tutta la mia generazione. Lo è stato soprattutto per me, che lo guardavo con ammirazione, e con il desiderio di poterlo un giorno emulare. Ma non ci sono mai riuscito. Lui veniva dalla radio, e il linguaggio radiofonico era completamente diverso dal linguaggio televisivo. La sua voce, il suo timbro, la sua cadenza, la sua immensa cultura, il suo modo di porgere le cose, ne avevano fatto un maestro per noi irraggiungibile. Un giorno decisi di andarlo a trovare a Napoli, a casa sua, volevo conoscerlo più a fondo, e di quel giorno trascorso con lui conservo ancora un ricordo meraviglioso.

“I primi dieci anni della Rai calabrese mi avrebbero posto all’attenzione della rete con i documentari. Ne produssi una dozzina e uno dei primi, quello che vinse il Premio Napoli, lo feci a doppia firma con Enrico Mascilli Migliorini. Questo favorì un seguito di presenze nel palinsesto radiofonico persino col superamento dello storico steccato che separava il settore programmi da quello giornalistico. Mascilli era un direttore che non si rassegnava al ruolo che i palinsesti della RAI concedevano alle sedi minori. Allora usava ogni mezzo di seduzione con i vertici dell’azienda per forzare gli schemi inderogabili della programmazione”.

Affascinante, avvolgente, sornione, carismatico, un giornalista completo, e soprattutto moderno, un intellettuale a cui puoi chiedere anche il pezzo più difficile, o un’analisi impossibile, ma con la certezza che il “maestro” alla fine ti scriverà l’editoriale che vorresti pubblicare alla sua maniera, impeccabile, perfetta, èlitaria.

Una eccellenza del giornalismo italiano, ma soprattutto –non vorrei qui rovinare la festa- una persona molto perbene. Immaginate la mia gioia quando mi disse “Diamoci del tu Pino, e chiamami Ninì, come fanno tutti i miei amici più cari”. Un onore per me.

Questa sua “Giostra dell’informazione”, che Florindo Rubbettino ha stampato oggi per lui, andrebbe ora fatta conoscere nelle scuole di giornalismo e nelle università dove si tengono master di comunicazione, perché questo libro è nei fatti uno straordinario diario di viaggio -con tantissime fotografie in bianco e nero dentro una più significativa dell’altra- che insegna e che fa capire fino in fondo cosa sia la comunicazione moderna. Che è fatta, sì, di dettagli, di riferimenti storici, di location, di dichiarazione ufficiali, ma è fatta anche di emozioni e di sensazioni personali e intime, perché questo è il Talamo che noi in Calabria abbiamo conosciuto e amato. Un giornalista completo con una anima straordinariamente bella.

Un vecchio maestro, che neanche in questa occasione si tira indietro, ed è iconico l’appello che Talamo lancia dalle pagine del suo libro alle giovani generazioni, soprattutto ai giovani nuovi cronisti della Sede Rai calabrese.

“Ne conosco alcuni, quelli aziendalmente più anziani, che stimo molto e con i quali ho avuto qualche rapporto di lavoro. Mi rivolgo ai più giovani. Non so chi siano e come abbiano avuto accesso alla professione. A questi io dico di non contentarsi mai della rappresentazione routinaria, sbrigativa e alla fine semplicistica dei fatti che riguardano la loro regione. So per esperienza, avuta anche in altri contesti redazionali, che sono portati a trascurare o a trattare con sufficienza la cronaca minore (pur se mi rendo conto che la “maggiore”, la nera soprattutto, non lascia troppo tempo al resto e spesso assorbe la gran parte delle risorse redazionali). Però è bene che sappiano che non si cresce professionalmente se non si fa l’orecchio ai segnali deboli che vengono dalla società, e questi segnali bisogna andarli a cercare anche nelle pieghe degli eventi meno strillati. La Calabria ha bisogno di questi esploratori delle ragioni profonde della debolezza strutturale e del disagio sociale: non bastano i descrittori, più o meno bravi, dei fatti criminali e delle dispute politico-amministrative. C’è un’università che produce saperi utili al territorio, c’è un’imprenditorialità sommersa, ci sono infinite altre risorse impaludate in una mentalità e in un costume che le rendono indisponibili a un significativo processo di modernizzazione e di sviluppo. Queste risorse bisogna riportare alla superficie, e i media in questo possono fare molto”.

La parte forse più commovente di questo saggio è la dedica finale che Talamo dedica alla sua famiglia e a Lalla, sua moglie: “Quando ci sposammo aveva venti anni. Aveva cominciato il percorso universitario con il massimo dei voti in alcuni esami. Fu dopo un trenta e lode in psicologia dell’età evolutiva che decise di lasciare gli studi per dedicarsi interamente alla famiglia e anche per sollevarmi da ogni preoccupazione in una fase molto impegnativa della mia attività. Mi resta il rimorso di non avere in seguito insistito abbastanza perché riprendesse il percorso universitario con la prospettiva di importanti opportunità professionali. È stata una grande madre, una grande sposa, è una grande nonna. Non finisco di ammirarla e di esserle riconoscente”. Tutto il resto è storia della radio e della televisione italiana.


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