Unicatt-ItsRight: artisti e musicisti sottopagati dallo streaming, compensi scarsi o nulli
Un quadro allarmante che contraddice la retorica di chi parla di “democrazia dello streaming”. Necessaria una riforma che rimetta gli artisti al centro.
(Prima Notizia 24)
Giovedì 15 Febbraio 2024
Milano - 15 feb 2024 (Prima Notizia 24)
Un quadro allarmante che contraddice la retorica di chi parla di “democrazia dello streaming”. Necessaria una riforma che rimetta gli artisti al centro.

Quanto valgono i diritti streaming degli artisti? Poco o nulla, in un sistema per nulla equo, caratterizzato da mancanza di tutele e contratti inadeguati, poca trasparenza, report poco chiari e non condivisi: una realtà che vede gli artisti interpretare un ruolo ancora troppo marginale e passivo nel settore.

È in sintesi il quadro drammatico che emerge dalla ricerca realizzata dall’Università Cattolica del Sacro Cuore in collaborazione con ItsRight, società che gestisce i diritti connessi di oltre 170.000 artisti e musicisti.

 

“Il futuro di prosperità e stabilità per gli artisti che promettevano le piattaforme di streaming, con il superamento della pirateria come primo canale di distribuzione musicale, sembra ancora di là da venire. Appare quindi auspicabile un’attività di advocacy puntuale ed accurata che fornisca forme di empowerment efficace alla categoria”. È il commento del Dott. Matteo Tarantino, docente di Data, Communication & Society presso l’Università Cattolica e responsabile scientifico della ricerca.

 

“È evidente che il sistema così com’è non funziona. Gli artisti restano relegati al ruolo di comparse in un ecosistema che vede arricchirsi tutti tranne loro. I tempi sono maturi per riformare il settore restituendo centralità alla figura dell’artista. Penso soprattutto a tanti esecutori ed interpreti che godono di minori tutele.” È il commento di Mario Biondi, special guest dell’evento di presentazione della ricerca, svoltosi oggi in Università.

 

“A due anni dal Recepimento della Direttiva Copyright, le scelte fatte dal Governo italiano allora in carica - che ha lasciato la raccolta di questi compensi in capo ai produttori - hanno prodotto la paralisi. I discografici tergiversano negandoci i dati sui ricavi streaming, necessari per verificare l’adeguatezza dei compensi degli artisti. È necessario rendere il settore realmente sostenibile per tutti gli attori del processo, avviando una riforma che consenta agli artisti, attraverso le loro collecting, la possibilità di incassare direttamente dalle piattaforme i propri compensi, in autonomia dai discografici. Solo così si potrà parlare di democrazia dello streaming”, ha commentato Gianluigi ChiodaroliPresidente di ITSRIGHT.

 

I risultati della ricerca

 La ricerca è stata realizzata attraverso un questionario mirato cui hanno aderito oltre 800 artisti. È stato successivamente estratto un campione scientificamente rappresentativo di 300 artisti per la finalizzazione dell’indagine dal punto di vista sociologico ed economico.

Emergenza reddito, emergenza streaming

I risultati di questa analisi esplorativa permettono di isolare emergenze significative.

La prima è la diffusa fragilità economica degli appartenenti alle categorie degli interpreti, esecutori, produttori artistici e direttori d’orchestra. La metà circa del campione che ha partecipato all’indagine, non è in grado di sostentarsi con la sola musica.

In secondo luogo, emerge l’impatto residuale dello streaming sui redditi, sia in senso assoluto che proporzionale. Degli artisti interpreti ed esecutori che hanno partecipato alla ricerca il 79,33% dichiara, infatti, di ricavare nulla o somme irrisorie dallo streaming.

La ricerca contraddice, dunque, la retorica di chi parla di “democrazia dello streaming”. L’idea che lo streaming possa costituire un efficace vettore di crescita economica per l’artista risulta sostanzialmente smentita, mostrando un quadro di scarsa compensazione e basso impatto sui redditi complessivi.

 

Presenza sulle piattaforme online

Questi dati appaiono tanto più significativi quando si considera che l’89% dei rispondenti segnala come le proprie opere siano presenti su una o più piattaforme. In altri termini, lo sfruttamento della musica in streaming è un’esperienza quotidiana per la maggior parte degli artisti. Nel campione, ogni artista è mediamente presente su 3.3 piattaforme.

Per quanto riguarda le piattaforme su cui si segnala la propria presenza più della metà del campione menziona YouTube (71,7%), Spotify (65%) e Apple Music (50%); a queste seguono Amazon Music (46%), Deezer (33,7%), Tidal (24%), QoBuz (14,3%), Primephonic (5%), in un ordine che resta coerente per genere e fascia d’età.

 

Scarse protezioni e tutele per gli artisti nell’ecosistema dello streaming.

Un’altra emergenza riguarda la protezione dell’artista.

Si registra anzitutto una generale e diffusa inadeguatezza di tutele contrattuali rispetto ai diritti streaming, che, combinata a uno scarso accesso alla reportistica relativa alle performance delle proprie tracce e a una generale sfiducia

nella trasparenza delle case discografiche come intermediarie, complica ulteriormente il quadro di vulnerabilità dell’artista.

Dal punto di vista della rendicontazione degli stream emerge l’assenza di un’infrastruttura di reportistica chiara e condivisa. Il 45% del campione dichiara di non avere mai ricevuto rendiconti; soltanto il 28% dichiara di averne ricevuti, e il 26.5% non risponde.

Rispetto alla formalizzazione di un contratto nel biennio 2021-2023 che regolamenti i compensi streaming si registra una dominante assenza di tutele: il 91.7% del campione ha dichiarato di non beneficiare di tale contratto.

Il campione registra una bassa soddisfazione rispetto all’attuale funzionamento del sistema dei diritti streaming. Rispetto all’equità dell’attuale ordinamento relativo ai diritti streaming, l’80% dichiara che “gli artisti sono penalizzati e non ricevono quanto dovuto”, ossia il livello minimo di soddisfazione. Il 9% ritiene il sistema “sostanzialmente equo”.

Anche il livello di trasparenza delle case discografiche risulta sostanzialmente insoddisfacente, con il 37.3% del campione che le ritiene “per nulla” trasparenti.


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