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Il giornalista-scrittore calabrese che da anni racconta il Mediterraneo lo fa ancora qui e ancora una volta come solo uno studioso di grande tradizione come lui potrebbe farlo.
Il giornalista-scrittore calabrese che da anni racconta il Mediterraneo lo fa ancora qui e ancora una volta come solo uno studioso di grande tradizione come lui potrebbe farlo.
Fernand Braudel - in “Il Mediterraneo” il più inimitabile dei testi letterari sul mare nostrum - ha scritto parole che scolpiscono il volto del mondo mediterraneo come lo scultore scolpisce il monumento di una natura divina: “Che cos’è il Mediterraneo? Mille cose insieme. Non un paesaggio, ma innumerevoli paesaggi. Non un mare, ma un susseguirsi di mari. Non una civiltà, ma una serie di civiltà accatastate le une sulle altre”.
Nel Mediterraneo, infatti, è scritta tutta la storia dell’umanità: una storia affascinante e plurale, perché tutto, dal vecchio mare nostrum è partito, tutto lì ha avuto inizio. Circa 5000 anni fa un uomo fenicio, di nome forse Onoo, fu il primo ad avventurarsi con coraggio a sfidare le onde, con una specie di canoa; forse per fuggire dai suoi nemici, oppure perché curioso di scoprire nuove isole e nuove terre che stavano oltre la linea dell’orizzonte che lui vedeva. Da allora è cominciato il viaggio nel mare e nella vita degli uomini, delle religioni, delle culture, perché il Mediterraneo è il luogo plurale per antonomasia : un mondo pluriverso. Malgrado un’attualità inquieta fatta di fuochi ribelli, fughe disperate, naufragi sgomenti, guerre, conflitti interni e terrorismo jadhista, il Mediterraneo resta metafora della vita: il mare che sempre rinasce e ricomincia e a cui l’Europa di oggi, immemore e impaurita, deve tutto.
Forse l’elogio più bello che è stato fatto al mare antico è del poeta francese Paul Valéry: “Giammai e in nessuna parte del mondo, s’è potuto osservare, in un’area così ristretta, e in un così breve intervallo di tempo, un tale fermento di spiriti e una tale produzione di ricchezze”.
A raccontarlo il viaggio” mediterraneo, significa narrare il mondo romano in Libano, la preistoria in Sardegna, le città greche in Sicilia, la presenza araba in Spagna, l’Islam turco in Iugoslavia, e poi realtà antiche, ancora vive, a fianco dell’ultramoderno; oppure, immergersi negli arcaismi dei mondi insulari e, allo stesso tempo, stupire di fronte all’estrema giovinezza di metropoli antiche che da secoli sorvegliano e consumano il mare. Qualcuno, in particolare dice che nel sud del Mediterraneo accade ciò che nel Sud dell’Italia - il paese più mediterraneo di tutti - accade da due secoli almeno: stessa eredità di antiche civiltà, stesso crepuscolo e destino, nel collocarsi nella storia dalla parte del torto. Il Mediterraneo è il più grande teatro umano di dimensioni mondiali: teatro libero e aperto, di cui l’Europa, sebbene immemore, e anche ingrata, ha bisogno. Il Mediterraneo è stato il luogo dove a un certo punto della storia - come dice lo storico Lorenzo Cipriani nel bel libro “Mare Nostrum” (Giunti editore) - è avvenuto uno dei più grandi big band dell’umanità, e dove possiamo individuare le tracce che ci aiutino a capire com’è nata la nostra cultura. Tutte le ragioni suggeriscono pertanto rapporti non solo economici col mondo mediterraneo, ma anzitutto dialettici, culturali e di sfida sociale, con, anzitutto, un obiettivo di pace che oggi dovrebbe stare a cuore a tutti. Gli scenari (incerti) del futuro, saranno difficili da gestire, senza un’accorta politica mediterranea e senza una visione positiva di una realtà che è pessima ma è anche l’ultima speranza per un nuovo inizio di vita.