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Appena fresco di stampa l’ultimo libro di Mario Caligiuri, “Intolleranza come Potere-Le strategie per il controllo della mente: un’analisi di intelligence”, Santelli Editore. Sette capitoli diversi, oltre la prefazione dell’ex Presidente della Camera Luciano Violante e le conclusioni dello stesso Mario Caligiuri - Direttore del Master di Intelligence all’Università della Calabria-, fanno di questo saggio -presentato l'altro ieri alla libreria Zeno Bandini a Trieste- una lezione di etica sociale, ma anche un monito e un allarme per le nuove generazioni che si affacciano al mondo, perché il quadro generale che descrive Mario Caligiuri per giustificare le sue tesi finali è a tratti sconcertante ed esplosivo.
“Un fenomeno così generale come l’intolleranza, che ha sempre scandito la storia del mondo, -spiega lo studioso di intelligence- dobbiamo necessariamente analizzarlo nel contesto nazionale, utilizzando la metafora del “giardino”: da un lato andando “oltre il giardino”, cioè guardando a quello che accade nel contesto mondiale, ma dall’altro adattando la definizione “Non nel mio giardino” per evitare che fenomeni del genere si radichino nel nostro contesto nazionale”.
-Ma cosa accade oggi in Italia di così grave da giustificare questo senso di intolleranza generale? L’analisi che ne fa il professore non lascia spazio a nessuna forma di ottimismo.
“Nel nostro Paese, dal 1993 si è andata progressivamente restringendo la possibilità di espressione da parte degli elettori, con l’attuale impostazione delle liste bloccate che scollegano gli eletti dal territorio che dovrebbero rappresentare, agevolando le infiltrazioni della criminalità negli enti locali. La stessa legge Bassanini favorisce di fatto questo processo, poiché, avendo annullato i controlli esterni sugli atti amministrativi, ha eliminato un potente strumento per evitare abusi e arbitrii nelle scelte pubbliche. L’immigrazione è destinata ad aumentare anche nel nostro Paese, provocando disagio sociale, periferie delle grandi città fuori controllo e incremento delle mafie straniere, tra cui quelle nigeriana, albanese e sudamericana. Le conseguenze delle politiche pubbliche potrebbero di nuovo radicalizzare lo scontro tra Nord e Sud del Paese, facendo rinascere tendenze separatiste settentrionali. Sempre collegata con la pandemia, si registra l’ulteriore infiltrazione della criminalità organizzata nell’economia, fenomeno che si è già riscontrato dopo la crisi del 2008. L’ulteriore e prevedibile abbassamento del livello di istruzione inciderà sull’economia e la democrazia, con ricadute inevitabili nei rapporti tra cittadini, con l’emergere di sentimenti e comportamenti negativi verso i diversi comunque considerati”.
-Il baratro sociale, insomma? O di peggio?
“Dal mio punto di vista- teorizza lo studioso- pur non dovendo assolutamente sottovalutare alcuni fenomeni estremi, in Italia non esiste la possibilità di un ritorno al fascismo per come storicamente lo abbiamo conosciuto perché c’è di peggio: si manifestano le condizioni sociali e culturali che hanno reso possibile l’arrivo della dittatura, cioè la crisi del sistema democratico. Una crisi che in gran parte discende dai metodi di formazione e selezione delle classi dirigenti, problema comune a tutto l’Occidente”.
-E in questo clima di incertezze e di disagio generale si inserisce in maniera prepotente il processo di informazione collettivo del Paese.
Mario Caligiuri non ha dubbi: “L’ulteriore e prevedibile abbassamento del livello di istruzione, inciderà sull’economia e la democrazia, con ricadute inevitabili nei rapporti tra cittadini, con l’emergere di sentimenti e comportamenti negativi verso i diversi comunque considerati. La guerra normativa insieme con le guerre dell’informazione e le guerre psicologiche potrebbero rendere i nostri concittadini maggiormente vittime della disinformazione, tanto più che una ricerca dell’IPSOS del 2018 ha rilevato che, tra decine di Paesi, siamo la nazione dove la percezione dei fatti è la più distante dalla realtà. A ciò si aggiunga che oltre il 75% di nostri connazionali non riesce a interpretare una semplice frase nella nostra lingua e che quasi il 28% è analfabeta funzionale, tra i quali anche numerosi diplomati e laureati. Tutto questo deve fare riflettere sugli esiti delle consultazioni elettorali e quindi sulla reale natura della democrazia nel nostro Paese”.
-Di male in peggio. Per non parlare poi degli effetti devastanti dell’Intelligenza Artificiale nel mondo.
“Lo sviluppo dell’intelligenza artificiale potrebbe provocare problemi sul mercato del lavoro, già storicamente in sofferenza. Molto probabile è l’allargamento delle disuguaglianze e questo potrebbe provocare imprevedibili tensioni sociali. Tutte queste dinamiche possono sicuramente fare emergere e consolidare atteggiamenti razzisti, posizioni intolleranti, discriminazioni pubbliche e private e altri fenomeni di questo tipo che si manifesteranno in forme ancora più sottili e sconosciute, ma sempre con effetti sociali che possono essere devastanti. Il tutto ovviamente amplificato dalla Rete attraverso social network e bot”.
-E’ una ragnatela che si avviluppa su se stessa, l’intolleranza come potere, l’odio sociale come strumento per mantenere questo potere. Una tesi che Mario Caligiuri sostiene già da diversi anni nei suoi scritti e nelle sue lezioni sul mondo dell’intelligence.
“Nella storia italiana, a torto o a ragione, - scrive lo studioso- abbiamo avuto tanti esempi di capro espiatorio: Benito Mussolini messo a testa in giù a Piazzale Loreto nell’aprile del 1945 per affrancarci dal fascismo, Aldo Moro ucciso dalle Brigate Rosse nel maggio del 1978 per tentare di decapitare il sistema democratico, Bettino Craxi morto ad Hammamet nel gennaio del 1999 per sconfiggere la corruzione e, recentemente, Luca Palamara espulso dall’associazione nazionale magistrati per rendere più efficiente e credibile il sistema della giustizia. I problemi invece rischiano a volte di rimanere intatti, aggravandosi. Pertanto, quando si va al potere per mantenerlo occorre individuare il «nemico vicino» e il «nemico lontano». Quindi l’odio non andrebbe interpretato quale semplice fenomeno storico e sociale, ma, come abbiamo cercato di argomentare, quale penetrante strumento di potere, anzi in questa fase della storia si potrebbe considerare come la leva del potere più importante: prima per acquisirlo e poi per mantenerlo.
Sostanzialmente d’accordo con lui anche Luciano Violante, che nella prefazione lucidissima che ne fa al libro spiega come “l’analisi di Mario Caligiuri parte da una costatazione non smentibile. Il fenomeno della intolleranza è cresciuto a dismisura negli ultimi decenni e costituisce spesso il metro per misurare il rapporto con l’altro. L’intolleranza non è solo un sentimento, questa la successiva riflessione dell’Autore, ma è anche uno strumento di potere”.
-Ma rieccolo il Luciano Violante che conosciamo noi, il grande analista dei processi sociali del Paese, il massimo conoscitore della storia del potere, ma non a caso nei fatti è stato uno degli uomini più potenti della Repubblica.
“I vecchi mediatori – partito, associazione, sindacato – si presentavano come tali sulla scena pubblica, erano scalabili, avevano statuti conoscibili. I nuovi mediatori -spiega l’ex Presidente della Camera- non si presentano come tali, non sono scalabili, non hanno visibili statuti. Le piattaforme digitali orientano la nostra vita quotidiana in misura maggiore rispetto ai corpi intermedi tradizionali”.
-Efficacissimo il racconto e la narrazione che Violante usa per dimostrare come oggi in Italia e nel mondo il potere sia profondamente segnato dalle reti digitali.
“Conoscevo l’indirizzo, il numero di telefono, i dirigenti e gli addetti del mio partito, del mio sindacato, della mia associazione. Potevo mettere in discussione le loro leadership e potevo concorrere alla designazione di nuove leadership. Essi tutti insieme costituivano poli di aggregazione, matrici identitarie, reti di sostegno. Oggi questi corpi intermedi sono in difficoltà perché non riescono a reggere le trasformazioni sociaIi. Il vuoto è stato occupato dalle piattaforme digitali, che sono i nuovi mediatori del XXI Secolo”.
-Ma quanto contano realmente le reti digitali sulla nostra vita quotidiana? L’elenco dettagliatissimo che ne fa Violante deve davvero farci riflettere sul futuro della nostra vita e di quella dei nostri figli.
“I proprietari di queste piattaforme -sottolinea Luciano Violante- sono potenze planetarie. Microsoft, Google, Amazon (per citare le più grandi ) controllano il 64% del mercato cloud infrastrutturale. Microsoft ha circa il 90% dei sistemi operativi per server e PC e gestisce Office, che è il pacchetto software più diffuso al mondo. Il 92% delle nostre caselle di posta elettronica è gestito da Microsoft, Apple, Google. Nel 1990 le prime cinque imprese USA in termini di capitalizzazione erano IBM, Exxon, General Electric, AT&T, Philip Morris. Nel 2020 erano Apple, Microsoft, Amazon, Alphabet, Facebook, tutte aziende del digitale. Nello stesso anno, inoltre, ciascuna delle cinque maggiori compagnie tecnologiche valeva più delle 76 maggiori società energetiche messe insieme. Viviamo in un oligopolio che ha nelle sue mani persone, imprese, istituzioni, Stati”.
-L’ex Presidente della Camera non si smentisce mai, e anche in questa occasione di analisi sul saggio di Mario Caligiuri arriva al “paradosso”, ma il racconto che ne fa è di una efficacia senza pari.
“Se quelle potenze premessero l’interruttore, il mondo si fermerebbe. Questa è la loro forza. Chi governa l’ambiente digitale ha la possibilità di decidere non solo cosa compriamo, ma anche cosa pensiamo e come ci orientiamo nel mondo. I flussi di pensiero collettivo pilotati attraverso i social media contano più delle intelligenze individuali. L’effetto più preoccupante è la costituzione di camere ad eco, ambienti digitali che riproducono continuamente il nostro pensiero, come se vivessimo immersi in una perenne eco dei nostri pensieri, desideri, aspirazioni”.
-Ma di questo passo dove andremo a finire?
“Una delle più vistose conseguenze del prevalere delle tribù è la diffusione dello sdegno, il risentimento misto a disprezzo, nei confronti dell’altro. Si è soliti definire questo comportamento come “indignazione”, ma forse il termine è improprio perché, nella storia, l’indignazione ha generato, oltre al ripudio dei comportamenti incivili e dei loro autori, mobilitazione collettiva, attenzione per le vittime, impegno per il cambiamento. Invece nelle nostre tribù si manifestano piú spesso altri sentimenti: disprezzo degli altri e orgoglio di sé, cioè sdegno”.
-Ma queste guerre risolvono qualcosa alla fine?
“Le rancorose rivolte dello sdegno -scrive mirabilmente bene Luciano Violante- non risolvono alcun problema. Anzi, promuovono un azzeramento senza riflessione, un apparente nuovo inizio che separa solo formalmente il vecchio dal nuovo, e invece costituisce un varco sotterraneo attraverso il quale le cattive pratiche passano da una fase all’altra della storia del Paese. La rivolta rancorosa suscita spesso consenso, ma provoca illusioni, che rendono piú amaro il calice quando è passata l’ebbrezza. L’intolleranza appartiene al fenomeno della costruzione del nemico; gruppi organizzati in tribù individuano un bersaglio per consolidare i legami sociali, dirottare l’attenzione dai problemi interni, rafforzare il convincimento della ineluttabilità delle proprie convinzioni, mobilitare le forze verso un obbiettivo facilmente individuabile. Nel corso dei secoli, la costruzione come nemico del cristiano, dell’ebreo, dell’islamico, dello zingaro, dell’immigrato, del dissidente, dell’oppositore ha costituito, ogni volta, una pratica tanto indegna quanto diffusa, per polarizzare l’attenzione dell’opinione pubblica su comodi bersagli, distraendola dalla realtà”.
Lo riconosco, si può anche non essere d’accordo con questa lettura “esasperata” del potere, ma già il fatto che questa analisi viene oggi da due dei massimi studiosi ed esperti di “classi politiche” e di “Intelligence” in Italia, ci costringe se non altro a riflettere su tutto ciò che ogni giorno accade in televisione o leggiamo sui giornali, e dove l’odio sociale rimane costantemente, purtroppo, uno dei temi centrali della comunicazione moderna.