La Corte di Appello di Roma ha condannato l’Inps al prepensionamento del lavoratore Atac dell’Officina deposito Osteria del Curato (Roma), Giancarlo Musilli, conducente di linea per 7 anni (dal 1982 al 1989) e poi macchinista della Metro A per altri 27, esposto sempre all’amianto utilizzato nei rotabili dei convogli della metropolitana, nelle parti meccaniche, quali guarnizioni e ferodi dei freni e frizioni, piuttosto che nelle coibentazioni.
La sentenza è storica perché riconosce i benefici contributivi amianto e l’aumento della pensione con una maggiorazione del 50% fino alla data in cui l’operaio è andato in pensione.
Per sua fortuna il macchinista è sopravvissuto all’esposizione al pericoloso patogeno all’interno dell’officina, tristemente nota alla cronaca per la questione amianto, le fibre killer gli hanno causato “solo” placche pleuriche e fibrosi polmonari diffuse.
Ma, anche se l’uomo era un avente diritto, in un primo momento l’Inail aveva respinto la richiesta del riconoscimento della malattia professionale asbesto correlata, così come fu respinto il successivo ricorso amministrativo.
Solo grazie all’azione legale dell’Osservatorio Nazionale Amianto, Musilli, assistito dal suo presidente, Avv. Ezio Bonanni, nel 2021 ha ottenuto dal Tribunale di Roma un parziale accoglimento delle sue istanze, l’ente è stato condannato al pagamento dell’indennizzo, ma non l’Inps a riconoscere prepensionamento.
Per questo motivo Bonanni è stato costretto ad avviare ulteriore azione legale che ha portato alla sentenza della Corte di Appello che ha appurato che le attività di lavoro erano state svolte senza dispositivi di protezione, quali maschere e tute monouso, in ambienti, compresi quelli della cabina, caratterizzati dalla contaminazione di polveri e fibre di amianto e il Ctu ha confermato la diagnosi e l’origine professionale di queste malattie (tecnopatie).
Questa decisione apre le porte alla tutela dei propri diritti anche per gli altri colleghi di lavoro, perché le conseguenze della presenza di amianto nelle vecchie officine dell’Atac sono emerse con la comparsa di forme maligne di tumore, come il mesotelioma pleurico e altre patologie asbesto correlate, nei dipendenti che hanno avuto un contatto, anche non prolungato, con queste fibre tossiche.
“Giancarlo Musilli ha finalmente ottenuto una «parziale» giustizia che ha riconosciuto i suoi diritti ma che non potrà di certo porre rimedio alla sua sofferenza fisica – dichiara Bonanni, che sottolinea – la mia amarezza è che ancora oggi molti altri impiegati in vari comparti continuano a trovarsi di fronte a un bivio: scegliere di morire di fame o di lavoro”.
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