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“Uniti per Renato Cortese”, cresce in Italia la mobilitazione in difesa del Prefetto che arrestò Brusca e Provenzano, e che oggi diventa una vera e propria petizione popolare.
“Uniti per Renato Cortese”, cresce in Italia la mobilitazione in difesa del Prefetto che arrestò Brusca e Provenzano, e che oggi diventa una vera e propria petizione popolare.
"Uniti per Renato Cortese". Ho appena firmato anch’io la petizione popolare in difesa e in favore di Renato Cortese, l’ex questore di Palermo che ha messo in ginocchio Cosa Nostra, e che poi da Prefetto è diventato quasi una icona, “servitore fedele e rigoroso dello Stato”, poliziotto cresciuto per strada e diventato il “simbolo dell’antimafia”, un “pezzo sacro” delle Istituzioni di questa Repubblica cosi sempre più povera di testimoni del suo tempo.
“Uniti per Renato Cortese”. E’ una petizione in segno di ammirazione e di stima per il suo ruolo e per il suo lavoro, per la sua vita e per la sua storia, per tutto quello in cui lui ha sempre creduto e per cui si è battuto fino in fondo sacrificando la sua vita e quella dei suoi amici più cari. Un eroe moderno, certamente, dei giorni nostri, a cui è stata inflitta una pena di 4 anni di carcere nell'ambito del processo sul “Caso Shalabayeva”, una sentenza che ha già fatto il giro del mondo per come è arrivata nelle redazioni dei giornali, e soprattutto per aver colpito proprio lui, “immagine assoluta del rigore e della serietà di Stato”, dicono ancora oggi di lui alla Questura di Palermo, dove lo Stato in passato lo ha celebrato per il coraggio contro lo strapotere di Cosa Nostra.
Renato Cortese, finito a giudizio con altri poliziotti, era stato condannato in primo grado, assolto invece dalla Corte d’Appello di Perugia, sentenza che era stata poi annullata con rinvio dalla Cassazione e che ha portato all'ultimo verdetto di oggi. Una decisione che ha scatenato - come già era avvenuto in passato con la sua prima condanna- grande indignazione, e che vede oggi la nascita di un “movimento popolare” che si schiera ufficialmente dalla sua parte, mettendoci la faccia, con il proprio nome e il proprio cognome, per stare al fianco di "uno storico servitore dello Stato e di un grande protagonista della lotta alla mafia in Italia".
Oggi il Prefetto Renato Cortese- sottolinea questo movimento di opinione- “vede la sua carriera infangata senza motivo, con una condanna a quattro anni e l’interdizione dai pubblici uffici, una sentenza che, secondo molti, mortifica la sua storia e disorienta chi crede nella giustizia. Lanciamo dunque un appello all’opinione pubblica: unire le voci per chiedere che la Cassazione ristabilisca la verità e riconosca l’errore. La vicenda ha generato delusione e sfiducia nelle istituzioni, ma proprio per questo è essenziale mobilitarsi. Sostenere Renato Cortese significa difendere un uomo innocente e onorare tutti coloro che hanno dedicato la loro vita alla sicurezza del Paese. La petizione diventa quindi uno strumento fondamentale per far sentire la propria voce e chiedere giustizia”.
Fin qui il testo della petizione in difesa del Prefetto calabrese e che è già stata firmata da centinaia e centinaia di persone diverse. Ma chi è Renato Cortese?
Classe 1964, calabrese di Santa Severina, in provincia di Crotone, Prefetto, Direttore Centrale per la Polizia Stradale-Ferroviaria-delle Comunicazioni e per i Reparti Speciali della Polizia di Stato, Renato Cortese è oggi uno degli investigatori e del poliziotti italiani più famosi al mondo Direttore in passato dell’Ufficio centrale ispettivo del Ministero dell’interno, passerà alla storia della Repubblica come l’uomo che ha arrestato Bernardo Provenzano, il numero uno di Cosa Nostra dopo Totò Riina. Ma è soprattutto l’uomo che con gli arresti eccellenti di Gaspare Spatuzza, Enzo e Giovanni Brusca, Pietro Aglieri, Benedetto Spera e Salvatore Grigoli ha di fatto disarticolato la più potente organizzazione mafiosa della storia, che era appunto quella siciliana. Ma lui è anche il poliziotto che nella sua stanza al terzo piano del Quartiere Generale della Polizia di Stato a Cinecittà conserva gelosamente gli encomi solenni dei vari ministri dell’interno che si sono succeduti negli anni e dei Capi di Stato che lo hanno ringraziato per il successo delle sue operazioni.
Entrato in polizia nel 1989, dopo una brillantissima laurea in Giurisprudenza all’Università La Sapienza di Roma, Renato Cortese è stato a Capo del Servizio Centrale Operativo della Polizia, ha retto la Squadra mobile di Reggio Calabria e di Palermo, e non c’è un solo dettaglio della sua vita professionale che tradisca quella che è la leggenda popolare nata attorno alla sua vita, e che lo vuole uomo di grande coraggio e di grandissimo intuito investigativo. Nonostante questi trascorsi e questa “fama” che lo segue sin da giovanissimo, ha sempre mantenuto un profilo bassissimo e di assoluto riservo. Guai a chiedergli un’intervista. Ti sentivi rispondere un semplice ma perentorio” No grazie”.
Alle spalle una miriade di riconoscimenti e di premi ufficiali. Premio Antonino Scopelliti nel 2010, Premio Atreju e Premio Siberene nel 2012 il, Premio Legalità Anmil a Palermo nel 2014, il Premio Città di Fiumicino nel 2016, Premio Aragona a Le Castella nel 2022, il 4 ottobre di quello stesso anno riceve la Cittadinanza Onoraria di Palermo, che lo ricompensa di una stagione di guerra contro Cosa Nostra unica per la storia dell’isola. Ma da un anno a questa parte viene chiamato alla guida del Premio Nazionale che porta il nome di Paolo Borsellino e che dal giorno della morte del magistrato palermitano non fa altro che organizzare in tutta Italia manifestazioni in suo onore e che ne ricordino sempre il ruolo e l’abnegazione con cui Borsellino, accanto e insieme a Giovanni Falcone, combatté la mafia. Quanto basta, insomma, per giustificare, nel caso ve ne fosse bisogno, la mia firma incondizionata alla petizione che oggi porta il suo nome.
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