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C’è un aspetto non considerato nella polemica che si è accesa sulle conseguenze che comporterà l’introduzione dell’Autonomia differenziata se mai arriverà al traguardo e non riguarda solo la divaricazione Nord Sud che inevitabilmente si accentuerà malgrado le ipocrite rassicurazioni della Lega il movimento nato separatista che ha sempre avuto l’obiettivo di disarticolare l’unità morale sociale e politica del Paese. Il traguardo sogno della Padania poco più di trent’anni dopo passando da Bossi a Salvini potrebbe ora essere raggiunto, paradossalmente con l’aiuto determinante di Fdi: la forza politica erede di movimenti di destra e post fascisti che fino a poco tempo fa innalzavano orgogliosamente la bandiera dell’antiregionalismo e della patria unita.
Senza andare troppo indietro nel tempo, quando Giorgio Almirante, segretario nazionale del Movimento Sociale Italiano, affermava che le Regioni sarebbero state “carrozzoni clientelari e di potere” e votò contro la loro istituzione, insieme a liberali e monarchici, basterebbe adesso ricordare quando nel 2014 l’attuale presidente del Consiglio Giorgia Meloni allora esponente di Alleanza Nazionale presentò in Parlamento un progetto di riforma costituzionale - insieme al collega Edmondo Cirielli, l'attuale viceministro degli Esteri - che prevedeva l'abolizione delle Regioni tout court.
E’ questa l’Italia: il Paese delle conversioni per opportunismo e per convenienza, del trasformismo e degli intrighi. Aveva ragione lo scrittore Guido Morselli: “Negli uomini, non esiste veramente che una sola coerenza: quella delle loro contraddizioni”. E’ questa l’Italia alla perenne ricerca di stabilità e identità: Il Paese dove non si è mai riuscito a saldare moralmente e culturalmente - con un visione suprema dello Stato - territori dalla Sicilia alle Alpi. Oggi, sembra che tutti in Parlamento abbiamo dimenticato - anche i “45” senatori di centrodestra del Sud che hanno chinato il capo come i sudditi - che il fanatismo e l’egoismo delle leghe nordiste è un veleno che corrode la solidarietà di cui il Mezzogiorno e le aree più deboli hanno bisogno.
Solo la Chiesa sta parlando con chiarezza: “ E’ questo un modo per diventare più solidali, sapendo del grande divario che c’è tra una parte e l’altra d’Italia”? ha commentato il segretario di Stato Vaticano cardinale Pietro Parolin dopo il voto del Senato. E pochi giorni prima un avvertimento pesante era giunto da Matteo Maria Zuppi presidente della CEI: “Attenti i vescovi del Sud sono sul piede di guerra”.
La questione non è solo ciò che un domani potrà accadere ma ciò che sta già accadendo oggi, con uno scenario politico parlamentare terreno di scontro duro, come nell’epoca post risorgimentale e con i giornali nazionali che sulla scia di questa contrapposizione si schierano a favore o contro una causa, a sostegno o contro le forze politiche, tornando a quel vizio d’origine del giornalismo italiano che ha condizionato a lungo la sua funzione e il suo sviluppo, non solo nel ventennio fascista.
Si sta facendo un tipo di giornalismo votato alle cause da sostenere, delle parti politiche da assecondare, e poco attratto dall’esigenza di informare con correttezza con il fine precipuo di comunicare notizie e di interpretare i gusti e le esigenze dei lettori e di informare a tutto campo. Anche per questo i giornali nazionali continuano a perdere lettori.
Un secolo e mezzo dopo l’Unità, i mezzi della comunicazione risentono ancora di quel vizio d’origine che malauguratamente si riflette nelle vicende storiche del Paese, anch’esse, per mancanza di visioni, tornate all’epoca dei contrasti e delle fratture politiche che allontanarono e oggi ancora allontanano il Mezzogiorno dall’Italia e dall’Europa, delegittimando i valori etici-politici dello Stato unitario.