Sei sicuro di voler sbloccare questo articolo?
Dopo le conclusioni seguiranno alcune letture tratte dai discorsi parlamentari di Spinelli in occasione del Progetto da lui presentato e la proiezione dell’ultimo intervento di Altiero Spinelli al Parlamento europeo sull’Atto Unico Europeo il 16 gennaio 1986.
-Professore Giuseppe Romeo, ma ha ancora un senso parlare di Willy Brandt?
Willy Brandt non è stato solo un cancelliere tedesco della nuova versione di una Germania divisa. Fu colui il quale, in una particolare congiuntura storica riuscì a collocare al centro i destini del continente e, con esso, della stessa Germania nel tentativo di riportare, attraverso il successo dell’Ostpolitik, di avviare una cooperazione e una riconciliazione tra l’Europa occidentale e quella orientale. Brandt fu un visionario e un pragmatico allo stesso tempo. Comprese la differenza che poteva fare un Kennedy ad Ovest quanto un Breznev costretto, suo malgrado, a dover fare i conti con l’eredità scomoda di Kruscev.
-Le riformulo la domanda: perché Willy Brandt e in questo preciso momento politico?
Vede, in questa giornata di studi, che si inserisce come momento preliminare nell’ambito delle ricerche avviate dall’unità di ricerca dell’Università degli studi Link all’interno del PRIN, si rinnova un deciso appello a promuovere una riforma delle istituzioni che possa rendere l’Unione europea un attore coeso e capace di affrontare le sfide continentali e globali più importanti contribuendo alla costruzione della pace, alla giustizia sociale con l’accesso ai servizi essenziali e alla tutela degli ecosistemi terrestri. Vi sono uomini e donne dell’Europa ancora ferita e offesa dai drammi dell’ultimo conflitto mondiale che hanno creduto di poter aprire una nuova frontiera verso un destino da sempre comune ma, altrettanto rifiutato negli anni, quasi a voler condannare i popoli europei allo scontro per lo scontro. Uno scontro sia esso ideologico o per affermare modelli autoreferenti, che non avrebbero portato a nulla di definitivo. Eppure, nonostante le relazioni compulsive tipiche di una Guerra solo apparentemente Fredda, ma molto pericolosamente calda per un’Europa divisa per ben cinquant’anni, dal 1949 al 1989, vi era chi - nella fragilità delle relazioni continentali dettate dal confronto tra due anime politiche, ideologiche ed economiche, nella pericolosità di un fronte aperto le cui linee di frattura passavano all’interno di ogni comunità – era convinto che il destino della Germania avrebbe fatto la differenza.
-Willy Brandt dunque visto come un grande statista?
Mi creda, l’azione politica di Willy Brandt non si limitò a ridefinire il ruolo della socialdemocrazia adattandola al contesto dell’Occidente europeo, ma si tradusse nella volontà di portare più avanti quanto definito a Zimmerwald (5-8 settembre 1915) e al programma di Bad Godesberg (13-15 novembre 1959) superando, in una formula competitiva di un nuovo socialismo, ciò che poteva sembrare quasi una versione ideologica di chiaro e unico stampo marxista-rivoluzionario e collettivista in economia.
-Mi spiega meglio?
La capacità di aprire il 12 agosto 1970 a Mosca le relazioni con l’Unione sovietica inaugurando di fatto l’Ostpolitik, l’aver spiazzato Breznev con la “lettera ai tedeschi” scritta a ridosso della firma del trattato con la quale riconduceva l’unità delle Germanie in una nuova unica esperienza storica, avrebbero rappresentato gli acceleratori storici per giungere all’unità politica dell’Europa. Inginocchiarsi a Varsavia il 7 dicembre 1970 per il cancelliere tedesco - che sentiva il peso della responsabilità storica di un conflitto – significava affermare la necessità di riconoscere il dramma europeo e indicare la via per il superamento delle lacerazioni della storia del continente.
-Qual è il messaggio forte che oggi Willy Brandt lascia al mondo?
«L’Europa dei cittadini – disse Brandt al congresso del Movimento europeo tenutosi a tra il 5 e il 7 febbraio 1976 – è più avanti dell’Europa dei governi. Il Parlamento europeo deve essere la voce dell’Europa. Esso ha la possibilità e il dovere di poter definire chiaramente l’identità europea e di creare le competenze necessarie a un governo europeo per i settori riguardanti le responsabilità comuni. Esso dovrà considerarsi come un’assemblea costituente permanente dell’Europa». Per Brandt la costruzione di un’unità europea avrebbe potuto garantire la pace, la democrazia e lo sviluppo della qualità della vita. Un’Unione politica di tipo federale fu quella approvata, a larga maggioranza, dal Parlamento europeo esattamente quarant’anni fa, il 14 febbraio 1984, su iniziativa di un eurodeputato, Altiero Spinelli, che aveva dedicato, dagli anni del confino come antifascista elaborando con Ernesto Rossi il Manifesto di Ventotene nel 1941, l’intera attività politica alla costruzione di un’Europa sovranazionale.
-L’Europa cosa deve trarre da questa vostra analisi comune su Brandt?
Con l’acuirsi di tensioni e guerre in Europa e nel mondo, di certo l’eredità di Willy Brandt e di Altiero Spinelli si presenta ancora importante come ambizione e come monito. Perché, in un momento di riorganizzazione dei rapporti di forza tra vecchie e nuove potenze, non vi sono spazi per un’Europa depotenziata nei suoi valori e nelle sue capacità di rappresentare la migliore evoluzione e sintesi tra le diverse culture democratiche