La Corte di Appello di Roma ha condannato Roma Capitale all’indennizzo di 61mila euro per la morte del dipendente Armando Cecconi avvenuta all’età di 58 anni per un mesotelioma polmonare causato dall’esposizione all’amianto in ambiente lavorativo.
Nessun risarcimento è stato accordato alla moglie Giovanna Colasanti, e al figlio Emanuele, che all’epoca della morte del padre aveva 24 anni.
Nell’aprile del 1970 Armando inizia a svolgere le sue mansioni di netturbino per il Comune, successivamente nel CEU (Centro elettronico unificato) presso la sede di via dei Cerchi di Roma, prima come usciere addetto allo smistamento della posta, e poi come commesso manutentore.
Un lavoro che lo porta a esporre la sua salute al rischio costante presente negli ambienti lavorativi infestati dall’amianto attraverso l’impianto di condizionamento dal quale cadevano polveri che avevano la capacità di irritare le vie respiratorie, aria contaminata respirata ogni giorno.
Le perizie CTU, sia quella ingegneristica, avvenuta nel 2022, che quella medico-legale del 2023, confermano la sua esposizione alla fibra killer durante la manutenzione degli impianti elettrici e idrotermici. L’amianto era ovunque: nelle tubazioni, nelle guarnizioni di impianti termici e, in generale, sugli impianti tecnologici.
Ma nonostante la legge imponesse l’impiego di misure preventive (D.P.R 303/1956), il Comune di Roma non adottava le precauzioni necessarie per proteggere la sua salute e quella dei suoi colleghi. La graduale sostituzione dell’amianto con materiali aventi analoghe caratteristiche ma meno rischiosi dal punto di vista ambientale e della salute, avvenne solo nel 1992: troppo tardi per l’uomo che nel dicembre 2002 riceve l’infausta diagnosi di “mesotelioma epitelioide alla pleura” e che, dopo un calvario di durato due anni, muore nell’agosto 2004.
La tragedia ha avuto conseguenze terribili per la famiglia, racconta il figlio Armando: “Papà era consapevole della sua fine imminente, costretto a vivere nella lucidità agonica fino all’ultimo giorno tra atroci dolori fisici e attacchi di ansia. Per noi è stato devastante sotto tutti i punti di vista. La sua malattia ha portato con sé una pesantissima conseguenza economica. La nostra era una famiglia monoreddito, la sua morte ci ha distrutti, ci è crollato il mondo addosso.
Io avevo 24 anni e lui era la nostra unica fonte di sostentamento. Abbiamo dovuto vendere casa perchè non riuscivamo a pagare il mutuo. Siamo stati anche ospiti in una depandance in un garage. Ho dovuto abbandonare i miei sogni per fare il facchino ed invece avrei voluto fare l’attore, frequentavo la scuola di teatro Petrolini diretta da Fiorenzo Fiorentini”.
Nonostante le evidenze schiaccianti e il chiaro legame tra la patologia e l’esposizione all’amianto sul luogo di lavoro, Roma Capitale ha negato la propria responsabilità e si è appellata alla prescrizione aggiungendo ulteriore dolore alla famiglia già provata da una perdita così ingiusta.
Non si arrende Ezio Bonanni, Presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto e legale dei Cecconi che ha annunciato una battaglia in Cassazione dove verrà richiesto “un risarcimento adeguato non solo per il danno economico, ma anche per il dolore inflitto alla famiglia”.
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