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Alberto, meravigliosamente Alberto. Tenerissimamente Alberto. Straordinariamente Alberto. Alberto Leonetti era tante cose insieme da noi alla RAI, un poeta, un visionario, un artista, un grande musicista, ma soprattutto un uomo silenzioso, riservatissimo, che non conosceva una sola smorfia di disapprovazione. Pareva educato ad ascoltare gli altri, e ti dava il suo parere solo se glielo chiedevi. Mai un gesto di intolleranza, mai un’arrabbiatura, mai una parola di troppo. Era il garbo fatto uomo, l’educazione di un signore d’altri tempi, quasi borghese, a tratti aristocratico. Alberto ti guardava dritto negli occhi e non proferiva parola, c’erano momenti della nostra giornata di lavoro in cui pareva pensasse “ma qui sono tutti pazzi”, poi sorrideva e spariva. Un’araba fenice, una meteora in un mondo dove le schizofrenie legate al tempo che scappa via, e ai TG da chiudere, sono più di quanto nessuno abbia mai raccontato. Noi facevamo la riunione del telegiornale delle 14 alle dieci del mattino e lui arrivava sempre sorridente. Pareva un uomo appagato, felice, sereno, soddisfatto di quello che faceva, ma io che lo conoscevo profondamente bene sapevo che al di fuori di quelle mura, prima in Via Montesano (la sede storica della RAI in Calabria) poi in Viale Marconi (la nuova sede, quella attuale), Alberto aveva un mondo tutto suo che viveva intensamente e che riempiva i vuoti della sua esistenza. Era il mondo della musica, il mondo delle canzoni, il mondo dei parolieri, il mondo delle note e dei teatri. Fino a ieri pensavo di sapere tutto, o quasi, della sua vita, ma non era assolutamente vero.
Su “Cosenza Channel” il giornalista Marco Cribari ne traccia un profilo professionale che è a dir poco bellissimo, completo, dettagliato come non mai. Immagino che tra di loro ci sia stato un rapporto molto più complice di quello che Alberto aveva con me, ma da questo “ricordo” viene davvero fuori la storia affascinante e avvolgente di un musicista di talento.
“Alberto Leonetti- scrive Marco Cribari su Cosenza Channel- veniva da lontano, dai favolosi anni Sessanta, epoca in cui per i giovani di talento come lui, tutto sembrava possibile. Era la stagione dei complessi musicali e Leonetti ci mette poco a imporsi come uno dei principali interpreti della scena cosentina. Il suo gruppo si chiama “I Limbos” e anima le serate allo Young’s club di via Mario Mari, il primo locale aperto in città per la gioia di baby boomer e figli dei fiori. Alberto suona l’organo e si accompagna a Giampiero De Maria (voce), Franco Falco (basso) Giustino Zappone (chitarre e mandolino elettrico) e Mimmo Palermo (batteria). Già allora mette in mostra tutto il suo talento compositivo. Nel 1967, sotto il nome di Tomahawks, lui e gli altri – con Nicola Carnevale ed Ernesto De Paola sassofonisti di rinforzo – incidono uno dei pochi 45 giri realizzati in quel periodo da band cosentine”.
Il programma radiofonico forse più famoso di Alberto Leonetti in RAI aveva anche un sottotitolo, “Don Casciotta e Ciccio Panza” (Le avventure di un nobile decaduto e del fido servitore in terra di Calabria), parodia in chiave popolare dei due famosi personaggi del Don Chisciotte di Cervantes. I testi e le musiche erano appunto di Alberto. Le prime 13 puntate andarono in onda dal 2 luglio 1988 al 10 ottobre di quello stesso anno, le successive 12 puntate dal 29 dicembre 1988 al primo aprile del 1989. Attori protagonisti, Angelo Lombardi e Gabriele Nicoletti. Questo fu uno dei programmi radiofonici in assoluto più seguiti della storia della Rai, il merito forse fu solo suo di Alberto, che ne era regista e conduttore, e che col passare degli anni ne fece poi anche un appuntamento fisso di ogni palinsesto, un vero e proprio cabaret radiofonico che trattava fatti e misfatti di Calabria traendo spunto dalla cronaca e dal costume. In studio due attori e un autore che per 43 minuti amavano scherzare con il proprio pubblico. Indimenticabile Alberto.
Ho scritto ieri a Marco Cribari un messaggio personale per ringraziarlo del modo come lo aveva raccontato, ma anche per confessargli che Alberto non mi aveva mai parlato del suo incontro con Gianni Morandi e della canzone che regalò a Morandi perché ne facesse uno dei suoi successi preferiti.
“Gianni Morandi – scrive Marco Cribari- si esibisce al vecchio stadio “Morrone” e alla fine del concerto Alberto Leonetti gli passa le registrazioni dei suoi brani. Finalmente le grandi case discografiche possono accorgersi di lui, pensa, mentre consegna la bobina alla superstar italiana del momento. Attende da lui una risposta, anche solo un cenno. Che, però, non arriverà mai”.
Ricordo che in Rai diventava difficile anche fotografarlo. Quando si accorgeva che qualcuno tirava fuori dal cassetto una macchina fotografica per fissare su carta fotografica momenti particolari della nostra vita di redazione, Alberto spariva, come se non ci fosse mai stato prima d’allora in quella che era la mia stanza al primo piano di Viale Marconi, ma prima ancora al terzo piano di Via Montesanto.
Si nascondeva, scappava via, forse era un modo per sopravvivere a questa sua condizione di regista- programmista, ruolo allora quasi ibrido nella organizzazione interna delle sedi regionali, figura professionale in realtà mai usata a dovere e mai valorizzata.
Ma lui credo se ne fosse fatta subito una ragione, e la sua vita di giorno era da noi per noi e con noi, e di sera si trasferiva altrove, a spasso con la musica.
“Molti dei suoi temi musicali – “Love island” su tutti – sembrano scritti per il cinema- racconta ancora Marco Cribari-Alberto Leonetti maneggia con sapienza e abilità la samba, il jazz, il blues, il tango e li mescola come i grandi direttori d’orchestra. La sua è musica che mira in alto, ma con un’anima sempre pop. Emulo di Piero Umiliani e Armando Trovajoli. Gli Shadows che incontrano Chopin. Questo era Leonetti. Poteva diventare una star, ma ha scelto di diventare sé stesso”.
Alberto aveva 79 anni, e se ne è andato in silenzio, per come aveva scelto di vivere. Ho appreso della sua morte dai social, mi sarebbe piaciuto esserci ai suoi funerali, ma quando ieri ho chiesto ad un collega della RAI quando fossero stati mi ha risposto “hanno già fatto tutto”.
Artista fino in fondo. Poeta più di prima. Musicista di grande talento. Uomo della solitudine e come tutti gli amanti del silenzio grande visionario.
Ma forse ha ragione Marco Cribari, che lo conosceva meglio di me, quando scrive “Ora che il suo tempo quaggiù è scaduto, ora che lui non è più, v’è la certezza che ad attenderlo, tra le nuvole, abbia trovato un comitato d’accoglienza di tutto rispetto: l’adorata moglie Maria in primis e con lei Rino Cosentino, Dino Pisacane, Ermanno Cammarota, Frank Costa, Giusi Santoro, Raffaele Borretti e tutti gli straordinari interpreti di un’epoca ormai lontana irripetibile. Ognuno armato di strumento per salutare come si deve l’arrivo del maestro. Piace pensare che anche Ennio Morricone, attirato dal clima di festa, si sia fermato a scambiare due battute con lui. E che Totonno Chiappetta, dando di gomito a qualche angelo o santo, se ne sia uscito con una battuta vurpigna delle sue: «Chi è quel simpatico vecchietto che parla con Alberto Leonetti? “.
Così va la vita.