Alessia Pifferi era capace di intendere e volere. E' quanto stabilisce la perizia psichiatrica firmata dallo psichiatra forenze Elvezio Pirfo, condotta sulla 38enne che aveva lasciato morire di stenti la figlia Diana, di circa un anno e mezzo, abbandonandola in casa per 6 giorni.
Per lo psichiatra, Pifferi "non é stata né è affetta da disturbi psichiatrici maggiori" e "non è portatrice di gravi disturbi di personalità". Dunque, sono inattendibili i test delle due psicologhe del carcere di San Vittore.
Stando alla perizia, Pifferi "ha vissuto il proprio contesto familiare e sociale di appartenenza come affettivamente deprivante e tale da indurre una visione del mondo e uno stile di vita caratterizzati da un'immagine di sé come ragazza e poi donna dipendente dagli altri (e in particolare dagli uomini) per condurre la propria esistenza" e ha anche "sviluppato di conseguenza anche un funzionamento di personalità caratterizzato da alessitimia, incapacità cioé di esprimere emozioni e provare empatia verso gli altri", "al momento dei fatti Alessia Pifferi ha tutelato i suoi desideri di donna rispetto ai doveri di accudimento materno verso la piccola Diana e ha anche adottato 'un'intelligenza di condotta' viste le motivazioni diverse delle proprie scelte date a persone diverse".
Quindi, "non essendo dimostrabile né una Disabilità Intellettiva né un Disturbo Psichiatrico Maggiore né un Grave Disturbo di Personalità, è possibile affermare che Alessia Pifferi al momento dei fatti per i quali è imputata era capace di intendere e di volere", e "vista la mantenuta capacità di intendere e di volere non è possibile formulare una prognosi di pericolosità sociale correlata a infermità mentale".
Inoltre, data "l'assenza di patologie psichiatriche ma soprattutto in presenza di un funzionamento cognitivo integro e di una buona capacità di comprensione della vicenda giudiziaria che la riguarda, sia in termini di disvalore degli atti compiuti sia dello sviluppo della vicenda processuale", Pifferi "è capace di stare in giudizio".
La pena massima prevista per questo caso è l'ergastolo, data la presenza di più aggravanti, inclusa la meditazione.
In merito ai test psicologici condotti sulla donna, lo psichiatra ha sottolineato: "Lo studio già eseguito sulle capacità cognitive della Pifferi, comprensivo del monitoraggio e dei colloqui che hanno preceduto la somministrazione del test di intelligenza di Wais, non è del tutto conforme ai protocolli di riferimento e alle buone prassi in materia di somministrazione di test psicodiagnostici e quindi l'esito del predetto accertamento non può essere ritenuto attendibile e compatibile con le caratteristiche mentali e di personalita' dell'imputata per come emergono dagli ulteriori atti del procedimento e dall'osservazione peritale".
Il pm Francesco De Tommasi ha avviato un filone d'indagine con l'accusa di falso e favoreggiamento contro le due psicologhe e la legale della Pifferi, anche perché il test Wais che non poteva essere eseguito, e con il "diario clinico" presumibilmente falsificato, avrebbero aiutato la Pifferi ad ottenere la perizia, affermando che fosse affetta da deficit cognitivo. In queste settimane, l'apertura del nuovo filone d'indagine ha suscitato molte polemiche, specialmente da parte degli avvocati milanesi, che sciopereranno il 4 marzo, giorno in cui è stata fissata l'udienza.
La "spettacolarizzazione mediatica subita da questa drammatica e tristissima vicenda avrebbe potuto costituire un'indiretta pressione psicologica sul perito e sui consulenti di parte", tuttavia"tale rischio non si è realizzato perché l'attività peritale si è svolta in maniera professionalmente serena grazie all'atteggiamento di collaborazione tenuto dai consulenti di parte nei confronti dello scrivente, pur nelle differenze delle proprie valutazioni cliniche e forensi, permettendo così di realizzare l'osservazione peritale nell'assoluta normalità 'tecnica'", ha sottolineato ancora Pirfo.
Il rischio di "pressione" sui tecnici avrebbe potuto esserci, "soprattutto perché in questo tipo di accadimenti il rischio è che si crei un circolo vizioso tra il tipo di reato e le modalità con cui è stato commesso da una parte e un'automatica o psichiatrizzazione delle motivazioni o valutazione moralistica dall'altra", ma questo rischio, ha concluso Pirfo, è stato evitato.
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